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05/07/2020 |
Ama il competitor tuo come te stesso (ma non la competizione)
Se cercassimo la parola competitor sul dizionario leggeremmo questa definizione:
Nel linguaggio politico e professionale, concorrente, avversario.
Se fossimo in una fiaba il competitor sarebbe un po’ l’antieroe, in una gara sportiva il concorrente da battere, insomma, è quel soggetto che gioca nel nostro stesso campo e può inficiare la nostra vittoria. Quindi colui che odiamo, ma che invece dovremmo amare.
Per capire che questa affermazione ha un senso e non è solo frutto di una nostra sbronza mal gestita, ci serve rivedere due significati, quello di COMPETIZIONE e quello, appunto, di COMPETITOR
Cos’è la competizione?
Ecco qualcosa che noi esseri umani amiamo tanto. Eppure il significato di competizione non suona così positivo. Vediamo:
Lotta, contrasto, gara di emulazione, per il raggiungimento di uno scopo o di un riconoscimento di una superiorità.
Praticamente una sorta di conflitto basato su chi supera l’altro.
E chi non conosce questa situazione?
Fin da piccoli, a scuola, due individui diversi con peculiarità diverse, tipo noi e il nostro compagno di banco genio della matematica, venivano valutati con lo stesso parametro sulla stessa materia. Ovvio che se noi nel compito di matematica prendevamo un 5 e il nostro compagno di cui sopra 7 qualcuno aveva superato l’altro. Per essere bravi bisognava essere come lui o meglio.
Il clima competitivo ci viene propinato anche da adulti e spesso viene ricostruito in modo artificiale, basti pensare allo sport, alla politica, ai videogame. Tutte situazioni in cui qualcuno deve essere uguale, ma migliore di qualcun altro per poter vincere e raggiungere il proprio scopo.
Se lo applichiamo sul lavoro la dinamica è la stessa: io dove essere meglio del mio competitor, più bravo, reperibile, veloce e spesso più economico, per potermi aggiudicare più clienti e non restare indietro.
E quindi il competitor chi sarebbe?
Come dicevamo all’inizio il competitor, sulla carta, è il soggetto che si mette tra noi è la nostra meta.
Quello che fa quello che facciamo noi, ma che deve farlo peggio di noi.
Quello di cui studiamo i punti forti per farli nostri e potenziarli.
Quello di cui ci appuntiamo i punti deboli per poterli usare a nostro vantaggio.
Insomma, è quello da levare di torno (professionalmente parlando, eh).
Ma a dispetto delle definizioni letterali e della nostra percezione è davvero così che funzionano le cose?
Competitor e competizione, chi è il vero ”cattivo” dei due
Ci hanno sempre venduto la competizione come qualcosa di utile, quasi necessario, per spronarci, crescere, fare di meglio. È vero che esiste una sana competizione che ha il potenziale di creare questo circolo virtuoso, ma è altrettanto vero che la maggior parte delle volte non ci viene presentata così e non siamo in grado di gestirla in questo modo.
Spesso la competizione genera questo tipo di processo: valuto i miei competitor, seleziono i migliori o quelli a cui sta andando meglio (o così credo) e cerco di essere come loro cercando di fare le stesse cose, meglio. Questo processo NON è fare il proprio meglio, ma è cercare di fare quello che fa qualcun altro meglio di come sa farlo lui. Attuare questa strategia il più delle volte non serve, anzi, crea l’effetto opposto.
E noi cosa facciamo?
Ce la prendiamo con i competitor ignorando che il vero ostacolo non sono loro, ma il nostro modo di vivere la competizione.
La competizione si traduce il più delle volte in appiattimento delle proposte, tutti offrono le stesse cose nello stesso campo sperando che sbranandosi qualcuno ne esca vincente. Non invento nulla di nuovo cerco solo di diventare il pesce più grosso senza nemmeno chiedermi se sono davvero un pesce. Il risultato è deleterio per tutti, anche per i clienti. Come professionisti dovremmo, sì, valutare i nostri competitor, ma per capire cosa offrono e sviluppare le nostre peculiarità per essere complementari ai bisogno del mercato. Possiamo prenderne ispirazione, ma per creare qualcosa che sia solo nostro, che davvero si distingua e risponda, pur nello stesso settore, ad altri tipi di domanda.
Quindi ama il tuo competitor perché può essere il tuo più grande alleato e a volte anche un tuo collaboratore.
Infatti, quando si sviluppano le proprie peculiarità in un campo, si scopre che si può collaborare con quelli che siamo stati abituati a concepire come avversari sviluppando progetti che non avrebbero mai avuto la forza di crescita con una sola testa e un solo paio di mani.
Proprio la scorsa settimana abbiamo raccontato una storia di collaborazione di vincente, quella dei ragazzi di Open Studio, qui potrete sentire com’è andata proprio dalle loro voci.
Vi serve un’altro esempio? Anche IANG è nato grazie all’unione di più professionisti, qui se volete potete leggere la nostra storia.
All we need is love
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